Pubblichiamo il resoconto dell’incontro che André Breton ha avuto con Freud il 10 ottobre del 1921, nel corso del suo viaggio in Austria insieme alla moglie Simone e all’amico Paul Éluard. Il testo è apparso una prima volta in Littérature, 1 marzo 1922, e quindi ristampato in Les pas perdus (1924).
Traduzione dal francese di Luigi F. Clemente e Franco Lolli
Ai giovani e agli spiriti romantici che, per il fatto che quest’inverno la psicoanalisi va di moda, hanno bisogno di immaginare una delle sedi più floride del rastaquouerismo moderno, lo studio di Freud con gli strumenti per trasformare i conigli in cappelli e il triste determinismo in carta assorbente, non sono affatto turbato di far sapere che il più grande psicologo del nostro tempo abita in una casa dall’apparenza mediocre, in un oscuro quartiere di Vienna. “Caro Signore, mi aveva scritto, avendo in questi giorni pochissimo tempo libero, La prego di venire a farmi visita lunedì (domani 10) alle 3 del pomeriggio, presso il mio studio. Il Suo assai devoto Freud”.
Una modesta targhetta all’ingresso, Pr. Freud 2-4, una domestica non particolarmente graziosa, una sala d’attesa con le pareti decorate con quattro stampe leggermente allegoriche – l’Acqua, il Fuoco, la Terra e l’Aria – e con una fotografia che rappresenta il maestro in mezzo ai suoi collaboratori, una decina di consulenti del genere più volgare, una sola volta, dopo aver suonato il campanello, qualche grido farneticante: non abbastanza per alimentare il più infimo reportage. Finché la famosa porta imbottita si schiude per me: mi trovo in presenza di un piccolo vecchietto trasandato che riceve nel suo povero studio di medico di quartiere. Ah, non ama molto la Francia, l’unico Paese a restare indifferente ai suoi lavori. Mi mostra comunque con fierezza un opuscolo appena pubblicato a Ginevra, nient’altro che la prima traduzione in francese di cinque delle sue conferenze. Provo a farlo parlare lanciando nella conversazione il nome di Charcot, di Babinski, ma, vuoi per aver fatto appello a ricordi troppo lontani, vuoi per il suo tenersi, di fronte ad uno sconosciuto, in una posizione di prudente reticenza, non ottengo da lui altro che considerazioni generali come: “La Sua lettera, la più commovente che abbia ricevuto nella mia vita”, oppure “Grazie al cielo, confidiamo molto nella gioventù”.